L’angelo dubbioso
Partendo dal presupposto che noi siamo luce (e quindi degni di essere ‘Angeli’ dopo aver compiuto il giusto cammino) ed in noi vi è traccia della divinità del nostro stesso creatore (ne siamo immagine e somiglianza, secondo le scritture) Francesco Maurizio Pullara ha scritto questo bellissimo e ben argomentato articolo che oggi condivido con voi.
_ _ _
Considerati vari gli stati del nostro essere, quello che sovrasta direttamente il livello al quale volgiamo la nostra vicissitudine terrena è certamente rappresentato dall’Angelo custode.
Per tale le pie illusioni degli uomini hanno identificato una entità celeste che l’Altissimo avrebbe riconosciuta a ciascun essere umano, una sorta di KA egizio, un doppio nell’ambito, però dello spirito e quindi più prossimo di noi a Dio.
Tale misericordioso ausilio servirebbe, è proprio il caso di dire cosi, a salvaguardarci dal compiere il male e ad orientarci nella direzione del Bene, fungendo altresì da messaggero delle disposizioni divine.
Quest’ultima attribuzione conduce però a riflettere circa la capacità, da parte dell’essere umano, di comprendere la parola del Messaggero.
Se fosse infatti facile da parte dell’uomo capire i messaggi che l’Angelo gli porta, la nostra vita sarebbe assai semplificata: basterebbe seguire i suggerimenti, quando non i comandi, dell’Angelo e tutto scorrerebbe liscio fino al Giudizio finale, che ci vedrebbe inevitabilmente interloquire con Dio.
A questo punto viene da chiederci quale sia il linguaggio dell’Angelo e perché sia cosi difficile, normalmente, comprenderlo.
I più, come si ‘è accennato sopra, ritengono l’Angelo custode qualcosa d’altro che non sia se stessi: un sostegno esterno che il Volere divino concederebbe a ciascuno per dirigerlo, consolarlo, etc.
Emerge quindi, apparendo altro da sé, la necessità di definirne la natura e di cogliere i segreti del suo linguaggio.
L’essere uomo comporta una connotazione complessa: in quanto essere vivente si avvale di un corpo, come del resto l’intera sfera animale con la quale si direbbe condivida la presenza in sé di quell’accrescimento specifico che si suole chiamare anima.
Essa è l’aspetto umido e recondito della natura degli esseri viventi che sono chiamati uomini: per gli altri esseri viventi, quali più propriamente gli altri animali, le piante e i vegetali in genere si hanno ancora, da parte di alcuni, dubbi.
L’anima sarebbe il connettivo degli umori, e dunque dei sentimenti, che possono essere volti al bene o al male; un uomo dispone dunque di una serie di possibilità, avendo l’anima; a seconda di ancora sconosciuti fattori, egli può essere formato da umori che, fermentando nell’organismo corporeo in un modo o in un altro, danno luogo ad una natura ‘buona’ o ‘cattiva’ definita tale in un modo assolutamente indeterminato e dando per scontate tutte le generalizzazioni di carattere morale e non, che si possano fare in proposito.
Si parla di umori e dunque ci si riferisce all’elemento Acqua. L’anima sarebbe in poche parole il prodotto derivato dalla combinazione individualizzata dell’elemento Terra L (il corpo) unitamente all’elemento Aria M (l’anelito vitale) nell’elemento Acqua N.
Oltre l’anima e il corpo si suole ritenere che l’uomo abbia lo spirito che, nella quaterna degli elementi formanti la manifestazione microcosmica, è rappresentabile con l’elemento Fuoco O.
Q: È un principio secco, sulfureo, che ha in sé la sua ragione sufficiente, che non è condizionato dalla terra e dall’acqua, seppure è nutrito dall’aria (l’anelito). Esso tende verso l’inesplicabile Alto e il suo percorso traccia gli stati molteplici del nostro essere, in naturale ascesa verso il Principio che, appunto, ci sovrasta.
Lo spirito esercita la funzione di apprendimento della volontà divina, espressa dal linguaggio dell’Angelo.
Forse si comincia ad intuire la correlazione che intercorre tra il linguaggio dell’Angelo custode e la nostra capacità di comprenderlo.
Risulta evidente che, tanto più l’essere umano avrà vita nell’ambito della sfera dello spirito, altrettanto maggiormente avrà la possibilità di comprendere e decodificare le angeliche suggestioni quando non i comandi.
E la ragione è questa: l’Angelo custode, infatti, siamo noi stessi: è la nostra stessa coscienza accresciuta nel percorso verso il pieno riconoscimento di sé – del Supremo Sé – che è l’Assoluto configurabile come la Luce dello Spirito al di là di ogni possibile definizione.
M: L’Aria – il nostro anelito- fa vibrare il Fuoco O del nostro spirito verso la realizzazione della Coscienza Suprema, che è Conoscenza Assoluta: l’Alto.
Se il nostro intelletto superiore, che è il mezzo a disposizione del nostro spirito per conoscere (riservato ad una individualità), è in grado di rilevare in sé uno stato ulteriore nell’ascendere verso l’Altissimo, ecco che siamo in grado di PARLARE con l’Angelo custode. Egli è dunque NON altro da noi, ma non è noi stessi, in quando il nostro rivolgerci all’Angelo, o il suo suggestionarci,quando non i suoi stessi comandi, ci trova in uno stato del nostro essere inferiore a quello di cui Egli gode poiché, nella verticale che si diparte dalla nostra manifestazione corporea individualizzata, l’Angelo è più in alto di noi ed è quindi più prossimo a Dio.
Se fosse concepibile che lo spirito si potesse sottoporre al Tempo, potremmo dire che l’Angelo custode siamo noi DOPO aver compiuto un identificabile progresso nell’ascendere verso Dio.
Ma ciò non può essere detto.
La Luce che Egli emana e che il nostro livello di spiritualità può cogliere è la prima, la più vicina al nostro intelletto superiore, per cui quando ci parla Egli ci da Luce.
Ma Dionigi l’Aeropagita ci enuncia le gerarchie angeliche. Sopra il nostro Angelo custode ve ne sono altri, sempre più luminosi, sempre più alti, sempre più vicini a Dio.
Essi ci parlano attraverso la Luce che ci trasferiscono, e che, a misura che gli stati del nostro essere si elevano, si fa più luminosa, fino a divenire, per il nostro intelletto seppure superiore, accecante.
È la Coscienza Assoluta del nostro essere, l’esito della risalita all’Empireo, la visione di Dio. La compenetrazione finale nel Principio.
È possibile dunque concepire la presenza di un interlocutore tra ciò che è la nostra manifestazione individualizzata e Quella Volontà che ogni cosa governa: il Principio Ordinatore, il Pantocratore, Dio.
Questo interlocutore è, via via nella nostra ascesa spirituale, lo stato successivo del nostro essere per la luce che ci comunica.
Il concetto della scala, e l’esempio di quella di Giacobbe, è pertinente: salirla ci consente di metterci in contatto volta per volta con il solo gradino seguente, cosicché, salendo, siamo ciò che era la Luce che illuminava precedentemente la nostra ascesa. Se ogni piolo fosse l’icona di luce cui viene dato il nome di una gerarchia angelica il nostro percorso completo, nell’ascendere la scala, configurerebbe l’identità con i vari stati dello Spirito nella direzione verso l’Altissimo, e cioè gli Angeli, gli Arcangeli, i Troni, le Dominazioni, etc.
Ci sembra sufficientemente spiegata la natura di quell’entità spirituale cui si da comunemente il nome di angelo custode, e le possibilità di identificare e dunque di comprenderne il linguaggio.
Ora occorre tornare a ciò che è enunciato dal titolo di questo breve studio: quando e perché è dubbioso l’Angelo?
Perché si può definire in pausa la nostra super-coscienza?
Essendo il livello superiore della nostra coscienza il momento seguente del nostro accrescimento spirituale, come è concepibile che il Tempo si instauri tra il mio ‘nunc’ e quella manifestazione (che proprio tale in fondo non è) che chiamiamo Angelo custode?
La vita dello Spirito si compie, per quello che riguarda l’essere umano, al di là di ogni condizionamento temporale.
Esso è riservato al corpo, che ne è succube.
La stessa anima gode di privilegi: costituitasi nello spazio-tempo individualizzato in un essere vivente (parliamo per il momento dell’uomo) può a volte trascenderne i limiti e costituirsi come ‘anima eletta’ sfiorando le regioni superbe dello Spirito.
In realtà, per usare termini forse un po’ grossolani e inadeguati, la serie di gerarchie angeliche che costituiscono le tappe del nostro percorso verso l’Altissimo sono la realizzazione potenziale di ciò che solo virtualmente è definito nel tempo come il nostro accrescimento spirituale, lo sono il Trono che interloquirà con me quando e se sarò nelle condizioni di elevazione spirituale adeguata a questo riconoscimento.
È per questo che l’Angelo è dubbioso: poiché la mia libertà di discernere il percorso da compiere verso l’Alto è talmente ‘attuale’, che l’esito di ogni mia decisione lascia nel campo dell’esistente, ma virtualmente, ogni passo che posso compiere nel cammino verso la Luce.
Voler procedere, avendo coscienza di poterlo fare, manca dell’atto: quando ciò si verifica con la manifestazione della mia volontà, io sono ciò che posso essere: non il Trono, l’Angelo, Dominazione, etc., ma sono Trono, Angelo, Dominazione, etc., non intesi come prodotto derivato dalla mia individualità, ma puramente e semplicemente come uno dei molteplici stati in cui l’Essere si attua.
Quando l’ascendere del nostro percorso non ci consente di cogliere la Luce maggiore verso la quale siamo diretti, la nostra super-coscienza attua una pausa: ciò è dovuto alla nostra natura spirituale, che definisce il suo stato di pienezza li dove è potuta giungere: il detto evangelico «molti sono i chiamati (attraverso l’anelito) ma pochi gli eletti».
Ad ogni essere umano è riservata lo sua attuazione possibile, e inutile sarebbe altra Luce, che non verrebbe data. Ciò renderà giusta e perfetta la natura di ognuno, in adempimento del disegno del Grande Architetto dell’Universo.