Il simbolismo della scala
Il simbolismo della scala coinvolge molte tradizioni religiose e sapienziali, ebraismo, misteri mitraici, cristianesimo, islamismo, gnosticismo, alchimia , applicandosi tanto al dominio dell’essoterismo (lo prova il riferimento costante dei Padri della Chiesa) quanto a quelli dell’esoterismo e della misteriosofia.
Il ventaglio delle possibili letture comprende la prospettiva storica, più o meno sacra, la morale, la filosofia, la mistica, ma l’elemento comune – dalla Torah al Talmud, dalla sapienza chasidica a
quella cabbalistica – è che la scala rappresenti il supporto immaginario dell’elevazione spirituale, conoscitiva e morale.
La scala nella tradizione esoterica indica anche equilibrio, uguaglianza, giustizia e armonia; anche nella filosofia massonica il simbolo della scala è fondamentale e l’articolo che condivido oggi con voi di Mariano Bizzarri ne fa un trattato affascinante e molto interessante. Buona lettura.
– – –
Nella camera dell’Areopago (XXX grado del Rito Scozzese) si trova al centro del Tempio una doppia scala, a libretto, la Scala Misteriosa, composta da sette gradini per lato. I gradini ascendenti portano i nomi delle sette arti liberali ovvero, dal basso verso l’alto: Grammatica, Retorica, Logica, Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia 1; sul versante discendente i gradini portano dall’alto verso il basso i nomi di Prudenza (Discrezione), Impegno, Lavoro, Fede, Dolcezza, Purezza e Giustizia.
Sul primo montante compare la scritta «amore del prossimo»; sul secondo è scritto «amore dell’Eccelso». Lungi dall’essere un elemento simbolico accessorio, la Scala assume un valore ed un significato centrale nella ritualità del grado, rappresentando da un lato una ricapitolazione del cammino iniziatico svolto dal Massone, e dall’altro prefigurando l’accesso a quei Misteri Maggiori inequivocabilmente espressi dal simbolismo dell’Aquila bicipite coronata 2. Il Massone che virtualmente ha reintegrato in sé lo stato primordiale dopo aver raggiunto il XVIII grado (Principe Rosa Croce), è chiamato ora a rendere effettivo il raggiungimento di tale stato sì da poter finalmente avviarsi lungo la Scala Misteriosa che lo condurrà verso l’acquisizione dei Grandi Misteri e il compimento della Grande Opera. La scala è in tutte le Tradizioni regolari segno e simbolo per eccellenza delle relazioni e dei percorsi che intercorrono tra cielo e terra, intendendo in prima istanza con tale dizione i diversi stati che l’essere si trova a percorrere nel corso del proprio divenire e, principalmente, durante il cammino di realizzazione iniziatica. In tal senso il simbolismo della scala si applica tanto al dominio dell’essoterismo (prova ne siano le frequentissime e ricorrenti utilizzazioni che ne fanno i Padri della Chiesa) quanto a quello dell’esoterismo e, in quest’ambito, a domini distinti. La scala può essere raffigurata come tale, o rappresentata dagli intagli di un albero (che, sottolineiamo di sfuggita, partecipa del medesimo significato assiale, di congiungimento tra cielo e terra), dagli scalini di un tempio (come le piramidi, le ziggurat mesopotamiche o i teocalli centroamericani) o dall’arcobaleno stesso. In tutte queste situazioni emerge con nitidezza l’idea di un contatto primordiale tra cielo e terra, successivamente spezzato e mantenuto solo per il tramite di una scala la cui natura, ecco un aspetto che generalmente non è valutato adeguatamente per la sua importanza, rileva non già dell’umano, bensì del sacro. La scala si innalza dalla casa di Dio (come è il caso per Giacobbe e più in generale per i Templi) o è un prodotto della natura stessa (arcobaleno), ma non è mai costruita dall’Uomo con l’intento di ricostruire da solo il filo spezzato che lo riconduca al Grande Architetto. In questo senso il significato simbolico della torre di Babele e lo stesso mito dei Giganti (che costruirono una piramide i pietre per dare l’assalto all’Olimpo) deve intendersi come rovesciato, esprimendo la scala, in quel contesto, un tentativo di usurpazione illegittima, irregolare, di chiara natura titanica.
La scala dei cavalieri Kadosh presenta sette scalini corrispondenti alle sette arti liberali; parimenti sette sono gli scalini della betulla siberiana, così come sette sono i colori della scala del Buddha, di sette metalli è costituita la scala Mitraica. Non vi è dubbio che le arti, i colori e i metalli rinviino tutti ad altrettante sfere planetarie, come ricorda bene Dante nel Paradiso quando, a proposito dei sette cieli, li equipara alle Scienze «dico per cielo la scienza e per cieli le scienze». Questa precisazione merita alcune considerazioni; anzitutto è evidente che qui si sta parlando di scienze tradizionali, ovvero di una conoscenza sacra imperniata principalmente sulla conoscenza e sull’uso del Verbo. A ciò del resto fanno chiaramente riferimento le Arti della Grammatica, della Retorica e della stessa Musica. Le scienze (tradizionali) della parola rinviano alle potenzialità demiurgiche (iniziatiche o magiche) del Verbo, adombrate nel prologo di S. Giovanni e presenti in numerose tradizioni, rivolte tutte a conoscere ed articolare il Nome dei Nomi, ovvero il nome segreto di Dio. Di ciò è questione in numerosi gradi dei Riti massonici in cui è sottolineato (come nel XIII grado, Cavaliere del Real Arco) che ne è stata dimenticata l’esatta dizione. Il nome in questione è tutt’uno con quella «parola perduta» la cui cerca è in definitiva la cerca stessa del Graal. La conoscenza del «nome segreto» di Dio (il 100° nome secondo la tradizione islamica) è di fatto apparentato da molte tradizioni al possesso stesso del Graal 3 e non è questo l’unico indizio che ricollega strettamente il simbolismo della Scala a quello del Sacro Vaso. I quindici salmi graduali (i Cantici dei Gradi denominati anche «gli elevati sentieri del cuore») sono considerati dalla Bibbia altrettanti gradini («graduale») della scala «immaginaria» che conduce al centro del Cuore e quindi di Dio; non è senza rilievo che il termine Graal derivi appunto dalle parole grazal, gradual, significanti vaso (in antico provenzale) o gradino (nel latino medievale). Per altro verso, a Bisanzio ci si rivolgeva a Maria (accomunata nella sua forma passiva all’Arca ed al Vaso che riceve il sangue e lo spirito del Cristo) come ad una scala celeste lungo cui scende l’Altissimo per dimorare in mezzo agli uomini e tramite la quale gli uomini salgono a Dio. Conoscenza di un alfabeto segreto, possesso del Graal, ascensione della Scala, sono altrettanti simboli che alludono alla padronanza di una Scienza capace di permettere una comunicazione diretta con Dio. Del resto, che la conoscenza di una particolare Lingua Sacra fosse indispensabile a concretizzare l’ascensione «al cielo», ci viene indirettamente rivelato dal mito stesso della torre di Babele. In quel contesto è infatti sufficiente «confondere» le lingue perché il progetto naufraghi e i popoli si disperdano ai quattro angoli della Terra. Del pari, un antico testo medievale scozzese, attribuito alla figura mitica del bardo Taliesin –La Battaglia degli Alberi– fa esplicito riferimento alla ricostruzione occultata di un alfabeto segreto, l’alfabeto della Dea Bianca, individuando in questa la fonte di un insegnamento misteriosofico capace, tra gli altri, di fornire la chiave di accesso per comunicare direttamente con la Divinità. In secondo luogo, come ricorda Guénon, i cieli 4 rappresentano in un ordine simbolico superiore stati di iniziazione sovrumani propri all’iniziato che, dopo aver reintegrato lo stato edenico primordiale, si accinge ad affrontare la Grande Opera: «…egli [ l’iniziato, NdA] domina già le condizioni di esistenza di questo Mondo, di cui è divenuto Maestro; è per questo che il Rebis del Rosarium Philosophorum ha sotto i suoi piedi la Luna, e quello di Basilio Valentino il Drago». Parimenti Santa Perpetua sottolinea come, nel corso dell’ascensione spirituale lungo la scala, si debba schiacciare la testa del Drago salendo il primo piolo 5. S. Agostino commenterà questa visione sottolineando come la testa del drago rappresenti il primo gradino (S. Agostino, Sermoni, 280,1) e che «non si può cominciare l’ascesa senza prima calpestare il drago». È significativo che il Drago debba essere sconfitto prima di cominciare l’ascesa e, per altro verso, sono invece alquanto sospetti quei miti che, collocando il Drago alla sommità (ed accreditandolo d’una funzione assimilabile a quella del Guardiano della soglia) gli conferiscono il significato di prova ultima prima del conseguimento dell’Opera. L’ascensione della scala nell’ambito iniziatico consegue, infatti, e non precede la reintegrazione dello stato edenico. Non è un caso che Dante collochi la Scala in Paradiso, dopo aver superato non solo l’Inferno e il Purgatorio, ma altresì i sette pianeti, l’ultimo dei quali, molto significativamente, è Saturno:
vid’io uno scaleo eretto in suso
tanto, che nol seguiva la mia luce.
Vidi anche per li gradi scender giuso
tali splendor, ch’io pensai ch’ogni lume
che par nel ciel fosse diffuso
(Paradiso, XXI, 28-34)
Ciò è di particolare importanza ove si consideri che la scala consente di accedere a quel regno di immortalità da cui l’Uomo, venne ad essere privato con la caduta. Non a caso l’età del cavaliere Kadosh è di «un secolo e più». Ulteriore, evidente simbolo della sua raggiunta immortalità e giustamente, per lo stesso motivo, viene equiparato a Melki-Tsedeq, «il vivente», Signore della Città Santa, espressione che designa chiaramente «il soggiorno d’immortalità» della tradizione ebraica. Nel Genesi è detto che il luogo ove Giacobbe sognò la scala da cui salivano e scendevano gli angeli venne chiamato Beith-El (Casa di Dio); le tradizioni ebraiche ricordano che quel luogo veniva in precedenza denominato Luz, «nocciolo di immortalità»; nelle vicinanze si ergeva un mandorlo, presso era occultato l’accesso ad una città sotterranea in cui, come ricorda Guénon, «L’Angelo della Morte non può penetrare». Tutto questo è solo in apparenza alquanto confuso ed evidenzia invece, simbolicamente, il nesso chiarissimo che intercorre tra l’ascensione della scala e l’accesso al Paradiso Terrestre presso cui risiede l’enigmatico Albero della Vita, capace di trasformare «l’immortalità virtuale» conseguita dall’iniziato pervenuto al compimento dei Misteri Maggiori, in una condizione di «conquista effettiva degli stati superiori dell’essere». La scala, il Graal, non sono che il mezzo e la via (il «Tao te ching» propriamente detto) per conseguire tale risultato. È indubbio che l’insegnamento misteriosofico connesso a tale tematiche abbia potuto alimentare, sulla base di una lettura «a rovescio» del simbolo, la ricerca e la letteratura controiniziatica, tesa ad identificare un elisir di lunga vita nell’ambito di una novella impresa prometeica, rivolta, per l’occasione, a strappare all’Olimpo il segreto della vita eterna. Non è casuale che un certo ermetismo «deviato» (per usare l’espressione coniata dal Guénon), così come buona parte della mitologia di ispirazione celtica e germanica, sottolineino la centralità della Queste di una Luz polare (l’Avalon arturiano, presso cui il Re di questo Mondo riposa in attesa di tornare a dominare sul proprio Regno) verso cui è stato profuso impegno e ricerche. Sia il mito della torre di Babele, sia quello greco della rivolta dei Giganti, indicano con chiarezza come sia effettivamente possibile una sorta di Queste «alla rovescia» del Graal, un recupero deviato di funzioni e conoscenze peraltro riservate agli iniziati che percorrono vie legittime. Si legge infatti nel Genesi:
Il Signore disse: ecco, essi sono un solo popolo e
hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della
loro opera e ora quanto avranno in progetto di
fare non sarà loro impossibile… (Gen. 11,6-7)
Del pari la tradizione greca ricorda come solo grazie a Ercole, a prezzo di grandi difficoltà, fu possibile agli Dei sconfiggere i Giganti, capitanati da Porfirione. È evidente che questi miti ricordano l’esistenza di una via illegittima di riconquista dello stato primordiale e di usufrutto dell’Albero della Vita da parte di quella che la Massoneria ha sempre identificato come la Controiniziazione. Di fatto l’ascensione della scala è eminentemente soggetta alle insidie controiniziatiche (intese nella loro doppia valenza sia come risorgenza del Drago interiore, sia come difficoltà frapposte dall’«ambiente» esterno alla crescita dell’iniziato) e di ciò fanno fede espressiva le rappresentazioni medievali imperniate sulle descrizioni dei Padri della Chiesa. Per costoro la scala identifica non solo uno strumento, ma altresì un percorso. Sant’Isacco il Siriaco sottolinea come «la scala di questo Regno (di Dio, NdA) è nascosta dentro di te, nella tua anima. Lavati dunque dal peccato e scoprirai i gradini per salire». Per S. Giovanni Climaco e s. Giovanni Crisostomo i gradini della Scala consistono in esercizi spirituali graduali da superare stadio dopo stadio. Vale la pena di sottolineare la stretta correlazione che intercorre tra esercizio spirituale (inteso come pratica di un percorso iniziatico) e tecniche iniziatiche di risveglio dei chakra (presenti in tutte le tradizioni iniziatiche) che consentono di superare La Via del Cancello della Mente della tradizione giapponese, imperniata appunto su sette colori (dal rosso al violetto). Del pari Guglielmo di Saint Thierry parlerà dei sette gradi dell’anima ed una lunga dissertazione sarà dedicata da San Bernardo alla scala mystica. In questi Autori la scala è chiaramente ricondotta al simbolismo del viaggio, del pellegrinaggio irto di difficoltà e imprevisti come tutti i percorsi dell’anima. Come tutti i simboli assiali anche la scala è caratterizzata da una direzione: come la si può salire, così la si può discendere. Herrado di Lansberg parla di una scala delle virtù dove i pioli bianchi e neri si alternano e i demoni perseguitano i peccatori alfine di provocarne la caduta. Tanto più alta la vetta raggiunta, tanto maggiori i pericoli di rovinare in basso. Il pericolo di trasformarsi in statua di sale (come accade alla moglie di Lot, voltatasi a guardare in dietro) è sempre presente nella cammino dell’iniziato e massimamente, come è il caso del cavaliere Kadosh, una volta che si approssima ai Misteri Maggiori. Ma le possibilità di discesa vanno intese anche in senso affatto diverso, come dovere dell’iniziato a reintegrarsi nell’Umanità di tutti i giorni, portando seco il patrimonio acquisito, influendo nella realtà quotidiana come adepto. E per farlo, considerando i pericoli intrinseci alla discesa, il Cavaliere Kadosh deve fortificarsi nelle virtù, di cui forse necessita ben più che nel percorso di ascesa. Non è un caso che la Massoneria nella sua saggezza abbia voluto sottolineare, per prima tra queste, la Discrezione (Ghemoul, in ebraico), ovvero la prudenza che necessariamente deve informare ogni atto ed ogni rivelazione nei confronti di quanti non abbiano sperimentato la conoscenza dei Misteri. In questo è facile ravvisare un’ulteriore sottolineatura dell’importanza di quel segreto che, come ci ricorda Guénon, è ormai tanto inviso al Mondo Moderno. Ma è proprio dall’osservanza di quel segreto, dalla pratica di quelle virtù che è possibile «contribuire alla felicità dei nostri simili» e che aiutano i Maestri del XXX grado a compiere il dovere «perché è il vostro dovere: questa è l’ultima parola della Massoneria: Ecco come noi intendiamo lo spirito cavalleresco nel suo più alto concetto».
Fonte: il Blog di Mike Plato (https://mikeplato.myblog.it/)