Kohada Koheiji
Chi segue questo blog sa che ogni tanto mi piace proporre, fra le altre cose, anche dei racconti sospesi fra i labili confini del mistero e della realtà.
Questo che vi propongo oggi prende spunto da una famosissima stampa di Katsushika Hokusai (1760-1849) dedicata allo spettro di Kohada Koheiji (la stampa in questione potete vederla nell’immagine che accompagna l’articolo).
L’artista dipinge il fantasma con le sembianze di uno scheletro a cui ancora sono attaccati brandelli di pelle e di cuoio capelluto nell’azione di abbassare la rete che due amanti avevano messo intorno al letto per proteggersi dalle zanzare.
Il corpo del defunto viene raffigurato come una fiamma che arde, simbolo dell’odio e del rancore che ancora ne bruciano l’anima, impedendo alla stessa di rinascere.
Ma perché tanto odio e tanto rancore?
Kohada Koheiji era un attore di kabuki di terzo livello che lottava per guadagnarsi da vivere sul palco di Edo Kabuki durante il periodo di Ichikawa Danjūrō II (1688-1758).
Kohada mancava sia del talento naturale che dell’esperienza e non era in grado di interpretare alcun ruolo.
Sentendosi dispiaciuto per lui, l’istruttore drammatico di Kohada corrompe un regista al fine di far interpretare al suo allievo un qualsiasi ruolo.
Il regista osservò a lungo Kohada cercando in qualche modo di dargli uno spazio sul palco in modo da onorare l’impegno preso in cambio del denaro ricevuto.
Mentre pensava al da farsi notò che egli aveva una naturale somiglianza con i personaggi yūrei di Kabuki.
La sua pelle era bianca, gli occhi scuri e infossati, i capelli lunghi e ribelli.
Il regista pensò così che poteva risparmiare sul trucco e sui costumi una discreta cifra affidando a Kohada il ruolo di un yūrei.
Prima di continuare con la narrazione apro una doverosa piccola parentesi.
La parola yūrei (幽霊) significa letteralmente “spirito vago”, “spirito indistinto”.
Secondo la dottrina buddhista, ogni essere vivente è condannato a morire e rinascere infinite volte sotto forme diverse.
Ciò che determina la futura condizione di nascita è il karma, cioè il merito positivo o negativo che si acquista con le proprie azioni.
Sebbene non fosse esattamente il ruolo dei suoi sogni Kohada lo vide come la sua grande occasione per ‘sfondare’ finalmente nel mondo del teatro e si lanciò nello studio.
Andò all’obitorio per osservare i volti dei morti e imparò come allentare i muscoli del viso e a trattenere il corpo come un morto.
La sua diligenza ed il duro lavoro furono ripagati e l’interpretazione di Kohada fu un enorme successo. La sua fama si diffuse e le sue interpretazioni lo portarono ad essere soprannominato dai colleghi ‘Yūrei Kohada’.
Kohada aveva una moglie di nome Otsuka di cui era profondamente innamorato ma questo sentimento non era condiviso, anzi ella riteneva il marito solo una grande fonte di imbarazzo personale.
Otsuka per consolarsi della sua situazione intrecciò una relazione con un collega attore del marito di nome Adachi Sakuro ed insieme decisero di ordire un complotto per sbarazzarsi di Kohada.
Durante un tour lungo il Giappone
Quando furono via insieme durante un tour, Adachi invitò Kohada a pescare.
Non sospettando nulla, Kohada uscì con Adachi su una barca nella Palude di Asaka.
Una volta che furono lontani dalla riva, Adachi spinse Kohada, giù dalla barca tenendolo sott’acqua finché non annegò.
Adachi e Otsuka potevano finalmente vivere in totale libertà il loro amore ma Kohada non era destinato a giacere morto sul fondo di una palude. Da vivo interpretava un yūrei e da morto lo divenne realmente.
Cominciò così a perseguitare incessantemente i due amanti fino a provocarne la totale follia e successivamente la tragica morte.
Questo racconto non è solo leggenda.
Kohada pare sia esistito realmente e la sua vicenda avrebbe fatto nascere tra gli attori di kabuki del periodo Edo, ai quali fosse stato assegnato il ruolo un tempo appartenuto allo stesso Kohada, l’usanza di recarsi presso la tomba dello sfortunato artista prima di ogni spettacolo: si credeva infatti che le offerte poste sulla tomba dell’attore potessero placarne l’ira così da assicurare la buona riuscita dello spettacolo oltre che, naturalmente, l’incolumità degli artisti partecipanti.